KARATE - I KATA
Dobbiamo essere consapevoli che quando facciamo un kata, stiamo eseguendo tecniche che alcuni Maestri insegnavano 50, 100, addirittura 400 anni fa. Un kata è qualcosa di più di fatica e sudore, è la vita stessa del Karate, è l’unica cosa che ci
lega ai grandi Maestri, la loro eredità per tutti noi. Ogni kata ha un nome: nomi come Bassai, Empi, Jion o Sochin sono stati dati attraverso gli anni. I nomi dei kata sono spesso un richiamo alla loro origine cinese: si possono trovare tracce della poesia naturalista cinese oppure del nome del Maestro che ha trasmesso il kata. Altri kata invece hanno nomi con riferimenti Giapponesi: alcuni nomi giapponesi sono stati creati recentemente, ma la maggior parte è originaria di Okinawa e il significato del nome a volte ci sfugge. Possiamo soltanto leggere i caratteri kanji con i quali sono stati trascritti e provare a immaginare a cosa pensava colui che l’ha creati. In alcuni casi l’origine del nome è evidente; in altri casi possiamo solo indovinare. Infatti, nella maggior parte dei casi i caratteri Kanji con i quali sono composti i nomi non sono conosciuti con certezza e diversi maestri asiatici potrebbero aver scritto lo stesso nome di un kata con caratteri diversi. Per diverse ragioni i creatori dei kata non hanno scritto molte cose sulle arti marziali e sui concetti che volevano trasmettere. Un certo numero di kata si è addirittura perso nel corso della storia: a volte perché un maestro non trovava un degno successore e quindi preferiva non tramandare il proprio kata ad altri (restava quindi solo il nome del kata il cui contenuto per noi è sconosciuto); a volte invece l’insegnamento non arrivava alla fine perché il maestro moriva o semplicemente il discepolo abbandonava la pratica. Pochissimi scritti sono stati ritrovati anche perché l’insegnamento dal maestro veniva fatto solo oralmente dato che all’epoca in pochi sapevano leggere e scrivere. In genere il maestro aveva un allievo interno al Dojo (Uchi Deshi) e un allievo esterno al Dojo (Soto Deshi). Il successore ufficiale era il Soto Deshi, pertanto egli non poteva conoscere tutto il sapere contenuto nei kata che il maestro insegnava all’interno del Dojo. Questi “segreti” erano tenuti dall’ Uchi Deshi; da qui la perdita di alcuni insegnamenti o chiavi di interpretazione dei kata. Un kata di karate si presenta come un susseguirsi di movimenti sempre eseguiti nella stessa maniera e nella stessa direzione, destinati a trasmettere i principi originali dei diversi Budo. I kata sono esercizi in cui troveremo dai 20 ai 60 movimenti o tecniche. Secondo il grado di difficoltà del kata, il karateka effettua delle tecniche che simulano un combattimento stabilito secondo un percorso contro più avversari. Ovviamente essi sono immaginari ma ogni movimento, ogni tecnica, deve essere eseguito con lo stato d’animo di un combattimento reale. I kata hanno un ordine dei movimenti fisso e preciso, si svolgono su una traccia (Embusen) nella quale esiste un punto di partenza (Kiten) che quasi sempre deve coincidere con il punto di arrivo, anche se questo richiede moltissima pratica. In principio il kata doveva iniziare e finire verso Nord, una tradizione legata al Kung Fu che però è stata abbandonata con il karate moderno. Anche se i kata sono esercizi praticamente perfetti, se ne capisce il significato soltanto se associati alla loro interpretazione, chiamata BUNKAI; la traduzione letterale di bunkai è ‘smontaggio’ e i kanji del nome indicano l’azione di smontare appunto qualcosa di complesso per ridurlo in parti semplici e essenziali. A volte il bunkai è abbastanza evidente, altre volte oscuro, a volte ingannevole. Purtroppo molte volte è ignorato. “Karate ni sente nashi” è l’iscrizione sul monumento dedicato alla memoria di Gichin Funakoshi che si trova nel monastero Zen di Engaku-ji a Kamukara: “nel karate non esiste primo attacco”. Questa era in effetti la frase che il fondatore del karate moderno aveva scelto per definire il karateka. Il fatto che tutti i kata inizino con una tecnica di difesa ne è la dimostrazione. Questo anche al fine di ricordarci che il karate deve servire soltanto per difendersi. Lo sviluppo del karate e la fusione degli stili hanno provocato una proliferazione di kata in cui il principiante si può perdere facilmente. Solo una trentina comunque sono originali, gli altri sono in realtà forme derivate o creazioni ispirate ai kata antichi. Vi basterebbe assistere ad una esibizione di kata dello stile Shito Ryu per constatare che il kata Bassai somiglia molto al Bassai delle scuole Shotokan/Shotokai. E’, tra gli altri, anche il caso degli Heian (chiamati Pinan), di Ten no Kata creato dal Maestro Funakoshi, dei Taikyoku che sono versioni semplificate degli Heian create dal figlio di Funakoshi, Yoshitaka. Tutti i kata antichi sono influenzati da due grandi correnti originarie dell’Okinawa-te, ovvero lo Shuri-te (Shorin-Ryu) in cui i movimenti sono lunghi, rapidi e leggeri, e il Naha-te (Shorei-Ryu) dai movimenti lenti, che coinvolgono la forza e la padronanza della respirazione. Il Tomari-te è una tendenza minore molto vicina allo Shuri-te. Nello Shuri- te troviamo gli Heian, Bassai, Kanku, Empi ,Gankaku, Gojushiho, Meikyo, Chinte, Jiin, Wankan. Nel Naha-te troviamo invece Hangetsu, Saipa, Sanchin, Sanseru, Kurunfua, Suparinpai, Shiso-shin, Sochin, Jutte, Jion, Tekki. Funakoshi scrisse nelle sue opere: “… Se mai i kata dovessero essere classificati, si potrebbe in modo generale distinguerli in due grandi gruppi: quelli che appartengono allo Shorei-Ryu e quelli appartenenti allo Shorin-Ryu. Il primo mette l’accento sullo sviluppo della forza fisica e la potenza muscolare: è impressionante la forza che questi kata sprigionano. La scuola Shorin è invece leggera e veloce, con movimenti pronti in avanti e indietro che ricordano i movimenti di un falco. I due stili sviluppano lo spirito e il corpo, e uno non è migliore dell’altro. Hanno entrambi i loro punti deboli e i loro punti forti e coloro che vogliono studiare il karate devono riconoscere questi punti e studiarli tutti.” |
I kata che pratichiamo
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