"L'ambizione"
Articolo del M° Lorenzo Martuscelli
Alcuni eventi di questo ultimo periodo, e la lettura di un interessante articolo datomi dal mio Maestro, mi hanno portato a riflettere e a riportare le mie impressioni vissute per esperienza diretta su un argomento molto frequente nella pratica del Karate; ho conosciuto diversi praticanti legati al mio Maestro, alcuni di questi possono essere rievocati con una parola: ambizione.
Non voglio muovere nessuna critica, ma riportare con estrema fedeltà quella che purtroppo è una triste realtà del mondo delle Arti marziali in generale. E’ giusto avere ambizione in tutto quello che facciamo ma questa parola nasconde delle ombre molto profonde quando la si associa al Karate.
In nome di questa parola nascono imprese ed eventi, in nome di questa parola si arriva ad innovare o addirittura ad inventare, per ambizione si acquisiscono dan, qualifiche, incarichi, spesso senza un valore effettivo. Nella lettura di una nota rivista del settore delle arti marziali ogni volta mi stupisco nel leggere pagina per pagina di medaglie, di campioni pluripremiati, di Maestri che conosco bene di persona che scrivono articoli che non hanno niente a che fare con il loro modo di insegnare.
L’ambizione si è unita alla presunzione, e si è così creato un processo irreversibile.
In alcune persone l’ambizione nasce dall’interno, si insedia per giorni, mesi, anni, anche se inizialmente non si manifesta, nascono così comportamenti falsi e azioni scorrette che mettono in gioco anche la dignità.
Nel tempo purtroppo all’ambizione si aggiunge l’invidia: nel nostro caso non si tratta di invidia per soldi o oggetti, ma piuttosto per la tecnica, per le doti fisiche, per le capacità di gestire, per il dono di saper rapportarsi con gli altri.
La storia purtroppo è sempre la stessa: questi ‘ambiziosi’ arrivano in palestra umili, quasi vergognosi, oppure si riaffacciano dopo molto tempo che hanno interrotto o deviato il loro studio del Karate; desiderano seguire il Maestro, mimarlo nei gesti e nella vita, apprendere con devozione tutto quello che il Maestro può dare loro; si mostrano accondiscendenti, si mettono (o si rimettono) nelle mani del Maestro e lo seguono per mesi, a volte per anni. Cercano di apprendere i segreti e le peculiarità, e lo fanno in punta di piedi. Col passare del tempo però la loro ambizione fa capolino, credono di aver imparato a gestire la politica delle arti marziali, ad organizzare una manifestazione, a gestire una società, dimenticando completamente cosa sia davvero la pratica delle arti marziali.
Il Maestro però non ne ha colpa: si fidava pienamente dell’allievo, credeva nell’uomo e credeva nel tecnico che aveva di fronte. Un allievo che chiede al Maestro di poter condurre un proprio corso, lo dovrebbe chiedere con umiltà e con rispetto; purtroppo invece è accaduto (molto più vicino di quanto si possa credere) che allievi che hanno smesso di frequentare i corsi si sono auto-proclamati Maestri senza averne l’esperienza, la preparazione tecnica e le capacità reali, approfittando a volte della troppa bontà del Maestro.
A volte però il passaggio da allievo a “maestro” non è improvviso: magari per qualche anno il vero Maestro rimane un punto di riferimento, una colonna del piccolo universo marziale dell’ambizioso: al Maestro farà riferimento per ogni problema, a lui chiederà come comportarsi, come impostare le lezioni, chiederà consigli sulla tecnica, porrà domande anche stupide e banali perché solo con l’appoggio di lui si sentirà tranquillo. Quando però l’ambizioso realizza il sogno di condurre un proprio corso e ha un numero consistente di allievi, inizia per lui una involuzione e il declino: la gestione dei propri allievi per molti diventa come un potere, dona euforia e la sensazione di essersi affermati a tutti gli effetti, si vede più forte e migliore di sempre, l’ambizioso pensa di essere davvero un Maestro. Partecipa a stage rinomati, associa il proprio allenamento e il proprio percorso a quello di grandi Maestri, finché non arriva addirittura ad associare se stesso alla schiera di quei grandi Maestri… la pratica però non mente, e nell’allenamento dell’ambizioso si vede la mancanza di capacità, sostituita da tecniche figurate e senza efficacia.
Ma non è finita: l’ambizione aumenta.
L’ambizioso vorrebbe imporre ai propri allievi i principi della SUE arti marziali: modifica le tecniche, le inventa, le dimostra mettendosi in ridicolo e calpestando i valori delle Arti marziali.
Nel tempo però inizierà ad accorgersi che non ha tutta questa credibilità e nemmeno un grande seguito, capirà che con il suo comportamento gli sarà difficile accaparrarsi le qualifiche e i gradi tanto agognati. Gli atleti adulti abbandoneranno i suoi corsi e resteranno i giovani inesperti, i genitori (che non conoscono dall’interno il mondo delle Arti marziali) porteranno ai suoi corsi i propri bambini convinti che dietro a quella cintura usurata ci sia un vero Maestro.
Oramai la sua Via è finita: continuerà a pubblicare articoli, organizzare manifestazioni, a raccontare di quando si è allenato sotto la pioggia o in condizioni estreme o con maestri da copertina, ma oramai il suo sogno è diventato un peso: un peso che porta a riflettere (e poche volte a capire), un peso più grande di lui, un peso che ingigantisce tutti i suoi problemi, i problemi non più di un maestro ma di un semplice uomo, un uomo che non è più un grande maestro. Ed è solo in quel momento che capirà che da grande maestro che credeva di essere è diventato solo un piccolo, fragile e inutile uomo frustrato…
Non voglio muovere nessuna critica, ma riportare con estrema fedeltà quella che purtroppo è una triste realtà del mondo delle Arti marziali in generale. E’ giusto avere ambizione in tutto quello che facciamo ma questa parola nasconde delle ombre molto profonde quando la si associa al Karate.
In nome di questa parola nascono imprese ed eventi, in nome di questa parola si arriva ad innovare o addirittura ad inventare, per ambizione si acquisiscono dan, qualifiche, incarichi, spesso senza un valore effettivo. Nella lettura di una nota rivista del settore delle arti marziali ogni volta mi stupisco nel leggere pagina per pagina di medaglie, di campioni pluripremiati, di Maestri che conosco bene di persona che scrivono articoli che non hanno niente a che fare con il loro modo di insegnare.
L’ambizione si è unita alla presunzione, e si è così creato un processo irreversibile.
In alcune persone l’ambizione nasce dall’interno, si insedia per giorni, mesi, anni, anche se inizialmente non si manifesta, nascono così comportamenti falsi e azioni scorrette che mettono in gioco anche la dignità.
Nel tempo purtroppo all’ambizione si aggiunge l’invidia: nel nostro caso non si tratta di invidia per soldi o oggetti, ma piuttosto per la tecnica, per le doti fisiche, per le capacità di gestire, per il dono di saper rapportarsi con gli altri.
La storia purtroppo è sempre la stessa: questi ‘ambiziosi’ arrivano in palestra umili, quasi vergognosi, oppure si riaffacciano dopo molto tempo che hanno interrotto o deviato il loro studio del Karate; desiderano seguire il Maestro, mimarlo nei gesti e nella vita, apprendere con devozione tutto quello che il Maestro può dare loro; si mostrano accondiscendenti, si mettono (o si rimettono) nelle mani del Maestro e lo seguono per mesi, a volte per anni. Cercano di apprendere i segreti e le peculiarità, e lo fanno in punta di piedi. Col passare del tempo però la loro ambizione fa capolino, credono di aver imparato a gestire la politica delle arti marziali, ad organizzare una manifestazione, a gestire una società, dimenticando completamente cosa sia davvero la pratica delle arti marziali.
Il Maestro però non ne ha colpa: si fidava pienamente dell’allievo, credeva nell’uomo e credeva nel tecnico che aveva di fronte. Un allievo che chiede al Maestro di poter condurre un proprio corso, lo dovrebbe chiedere con umiltà e con rispetto; purtroppo invece è accaduto (molto più vicino di quanto si possa credere) che allievi che hanno smesso di frequentare i corsi si sono auto-proclamati Maestri senza averne l’esperienza, la preparazione tecnica e le capacità reali, approfittando a volte della troppa bontà del Maestro.
A volte però il passaggio da allievo a “maestro” non è improvviso: magari per qualche anno il vero Maestro rimane un punto di riferimento, una colonna del piccolo universo marziale dell’ambizioso: al Maestro farà riferimento per ogni problema, a lui chiederà come comportarsi, come impostare le lezioni, chiederà consigli sulla tecnica, porrà domande anche stupide e banali perché solo con l’appoggio di lui si sentirà tranquillo. Quando però l’ambizioso realizza il sogno di condurre un proprio corso e ha un numero consistente di allievi, inizia per lui una involuzione e il declino: la gestione dei propri allievi per molti diventa come un potere, dona euforia e la sensazione di essersi affermati a tutti gli effetti, si vede più forte e migliore di sempre, l’ambizioso pensa di essere davvero un Maestro. Partecipa a stage rinomati, associa il proprio allenamento e il proprio percorso a quello di grandi Maestri, finché non arriva addirittura ad associare se stesso alla schiera di quei grandi Maestri… la pratica però non mente, e nell’allenamento dell’ambizioso si vede la mancanza di capacità, sostituita da tecniche figurate e senza efficacia.
Ma non è finita: l’ambizione aumenta.
L’ambizioso vorrebbe imporre ai propri allievi i principi della SUE arti marziali: modifica le tecniche, le inventa, le dimostra mettendosi in ridicolo e calpestando i valori delle Arti marziali.
Nel tempo però inizierà ad accorgersi che non ha tutta questa credibilità e nemmeno un grande seguito, capirà che con il suo comportamento gli sarà difficile accaparrarsi le qualifiche e i gradi tanto agognati. Gli atleti adulti abbandoneranno i suoi corsi e resteranno i giovani inesperti, i genitori (che non conoscono dall’interno il mondo delle Arti marziali) porteranno ai suoi corsi i propri bambini convinti che dietro a quella cintura usurata ci sia un vero Maestro.
Oramai la sua Via è finita: continuerà a pubblicare articoli, organizzare manifestazioni, a raccontare di quando si è allenato sotto la pioggia o in condizioni estreme o con maestri da copertina, ma oramai il suo sogno è diventato un peso: un peso che porta a riflettere (e poche volte a capire), un peso più grande di lui, un peso che ingigantisce tutti i suoi problemi, i problemi non più di un maestro ma di un semplice uomo, un uomo che non è più un grande maestro. Ed è solo in quel momento che capirà che da grande maestro che credeva di essere è diventato solo un piccolo, fragile e inutile uomo frustrato…