"Vincere senza sfoderare"
Articolo del M° Lorenzo Martuscelli
Quando la nostra mano tocca la spada ci troviamo improvvisamente da soli contro il nostro avversario immaginario: è un avversario molto veloce e preparato, quindi la nostra risposta al suo attacco deve essere altrettanto valida e decisa; l’obiettivo sono pochi movimenti, gli stessi movimenti che nell’allenamento vengono ripetuti all’infinito alla ricerca della perfezione assoluta. All’interno della sua elegante fattura la spada ha in realtà molte cose da offrirci: la Katana può farci sentire invincibili, ma allo stesso tempo ha la particolarità di farci sentire goffi e imbranati; quando pensiamo di padroneggiare un movimento ecco che arriva un errore che ci riporta subito sulla strada dell’umiltà, facendoci così accorgere che il nostro avversario immaginario continuerà puntualmente a vincere su di noi per molto tempo ancora.
In questa pratica bisogna saper ascoltare se stessi. Nello Iaido (come nel Karate) sensazioni come amore, rabbia, delusione e soddisfazione sono alcune delle cose da “sentire”, un difficile lavoro su se stessi che porterà alla ricerca della massima espressione dell’Arte: vincere senza sfoderare, è questa la massima espressione dello Iaido e delle Arti Marziali in generale. Sono sicuro che tante persone per molto tempo non capiranno questo concetto e si chiederanno: come posso vincere se non attacco?
E’ bene procedere con calma.
Molti praticanti di Arti Marziali non si sentono realizzati se non colpendo dei sacchi, combattendo in gara contro un avversario, o cercando di continuo il contatto fisico perché solo attraverso questa prova di forza sentono di praticare davvero e di valere qualcosa; ma pensate al paragone: è come se si volesse praticare Iaido per tagliare qualcosa o addirittura qualcuno con la spada! E’ chiaro che si tratta di un concetto sbagliato; questi praticanti, come disse Funakoshi stanno solo “giocando con le foglie di un albero” e scordano che le arti marziali sono nate per la vita e per la morte. Ed è proprio così anche nello Iaido: quando si estrae la spada, si vive o si muore; per questo nella pratica è necessario avere come compagni di allenamento persone in armonia fra di loro, se così non fosse si risveglierebbe un istinto di guardia e di attenzione che nell’antichità avremmo riservato ad un potenziale nemico. (Un’aspirazione irraggiungibile per
molti, una cosa fuori da ogni contesto per altri, ma estremamente veritiera.)
La spada è affascinante, il suo metallo lucido ci spinge a non staccarle mai gli occhi di dosso, la Katana pretende subito rispetto e incute timore nel principiante, la mente vola ripensando a quante imprese storiche hanno affrontato coraggiosi guerrieri con una Katana in mano, magari con una Katana molto simile alla nostra, e noi ci sentiamo subito più importanti e legati a questa antica tradizione. La pratica con la Katana trasmette fin dall’inizio profonde sensazioni: quando pratichiamo un’arte marziale qualsiasi, la nostra attenzione è tutta sul nostro avversario, siamo consapevoli che potrebbe attaccarci con pugni o calci, che potrebbe tentare di afferrarci e così via, ma niente ci rende nudi ed indifesi come l’avere davanti un avversario armato di Katana; ci rendiamo conto che ogni più piccolo errore potrebbe costarci caro, ogni movimento non ben calibrato rischia di portarci alla sconfitta più disastrosa, cosa che nello studio del Karate tendiamo a volte a sottovalutare. Anche per questo la pratica con la spada non può che essere d’aiuto a qualsiasi praticante che voglia approfondire il suo studio marziale, l’uso della spada porta al di là di una semplice competizione più o meno violenta, porta a riflettere appunto sul vero senso delle arti marziali. Lo Iaido richiede una perfetta lucidità e una totale assenza di tensioni muscolari, calma, distacco e saldezza interiore, tutte qualità che non si guadagnano semplicemente stando attenti, ma con la pratica continua vera e propria.
Per tutti i praticanti è giusto capire fin da subito che attraverso lo Iai non impariamo ad attaccare: anche i Kata di Iaido (come quelli di Karate) sono stati pensati per rispondere agli attacchi di un avversario e (tranne in rarissimi casi) mai per attaccare per primi. Questo anche perché l’allenamento fisico dello Iaido ad un certo punto deve lasciare il posto all’allenamento mentale, se vogliamo avere la possibilità di uscire vincitori dobbiamo creare il nostro vuoto interiore, la mente ed il corpo saranno così liberi di agire senza vincoli o repressioni e si scatenerà l’energia necessaria per uscire vincitori. Niente tensione, solo pace interiore.
Una volta che iniziamo l’allenamento con la spada dobbiamo considerare una cosa molto importante: la Katana non è un accessorio, ma un’arma in tutto e per tutto studiata per togliere la vita; dobbiamo essere puri di cuore per tenerlo sempre presente.
La Katana, come alcune tecniche letali di Karate, è la massima espressione dell’eterno conflitto che l’uomo ha con se stesso.
Dobbiamo temere e rispettare allo stesso tempo queste sensazioni, facendo tesoro di ogni singola tecnica e di ogni piccolo particolare: nell’antichità una ripetizione in più o un piccolo particolare lasciato indietro potevano fare la differenza fra la vita e la morte.
Quando si effettuano i tagli sulla fascìna o sul bambù, stiamo simulando il taglio di un arto e quindi un’uccisione; per questo è necessario un rito per far sì che nessuna negatività rimanga addosso al praticante dopo aver simulato questa pratica, e anche per fare in modo che il luogo stesso non rimanga contaminato da spiacevoli sensazioni di negatività. Oggi per questioni di sicurezza noi pratichiamo la maggior parte delle tecniche contro un avversario ‘immaginario’, per molti potrebbe sembrare una limitazione, ma pensate all’incredibile vantaggio di questa pratica: un avversario in carne ed ossa potrebbe comunque mostrare dei limiti; il nostro avversario immaginario invece lo possiamo identificare come vogliamo noi, lo possiamo rendere veloce, inafferrabile, alto o basso, imbattibile, o che ci lasci qualche possibilità….non ci sono limiti!
Potremmo immaginarci di lottare ogni volta con un avversario che non ci lascia scampo, e poi riportare queste sensazioni e tutta la preparazione acquisita nell’esercizio a coppie con un compagno, esercizio che, a seconda dell’esperienza, diventerà sempre più complicato e fedele alla realtà.
Solo se avremo combattuto il nostro “io” su tutti i fronti saremo pronti ad affrontare qualsiasi cosa, e qualsiasi situazione.
Per concludere voglio riprendere il concetto che ho menzionato sopra, ovvero vincere senza sfoderare. Applicando questo principio al Karate può essere inteso come vincere senza combattere, e voglio spiegarlo riportando un esempio molto chiaro per far capire a tutti di cosa stiamo parlando.
Immaginate di entrare in un giardino a voi sconosciuto, e di trovarvi improvvisamente davanti ad un cane: il primo istinto vi consiglierà di fermarvi e valutare se il cane è aggressivo o no; immaginate che il cane non si muova, ma che vi tenga sotto controllo con
molta attenzione: solo in quel momento capirete che cercare di entrare nel suo territorio scatenerebbe una reazione pericolosa e sicuramente deciderete di tornare sui vostri passi, non per il suo ringhio, non per il suo morso, ma per la sua attenzione e la sua attitudine che vi hanno convinti a cambiare strada…applicando il concetto di vincere senza “sfoderare” e di vincere senza combattere.
In questa pratica bisogna saper ascoltare se stessi. Nello Iaido (come nel Karate) sensazioni come amore, rabbia, delusione e soddisfazione sono alcune delle cose da “sentire”, un difficile lavoro su se stessi che porterà alla ricerca della massima espressione dell’Arte: vincere senza sfoderare, è questa la massima espressione dello Iaido e delle Arti Marziali in generale. Sono sicuro che tante persone per molto tempo non capiranno questo concetto e si chiederanno: come posso vincere se non attacco?
E’ bene procedere con calma.
Molti praticanti di Arti Marziali non si sentono realizzati se non colpendo dei sacchi, combattendo in gara contro un avversario, o cercando di continuo il contatto fisico perché solo attraverso questa prova di forza sentono di praticare davvero e di valere qualcosa; ma pensate al paragone: è come se si volesse praticare Iaido per tagliare qualcosa o addirittura qualcuno con la spada! E’ chiaro che si tratta di un concetto sbagliato; questi praticanti, come disse Funakoshi stanno solo “giocando con le foglie di un albero” e scordano che le arti marziali sono nate per la vita e per la morte. Ed è proprio così anche nello Iaido: quando si estrae la spada, si vive o si muore; per questo nella pratica è necessario avere come compagni di allenamento persone in armonia fra di loro, se così non fosse si risveglierebbe un istinto di guardia e di attenzione che nell’antichità avremmo riservato ad un potenziale nemico. (Un’aspirazione irraggiungibile per
molti, una cosa fuori da ogni contesto per altri, ma estremamente veritiera.)
La spada è affascinante, il suo metallo lucido ci spinge a non staccarle mai gli occhi di dosso, la Katana pretende subito rispetto e incute timore nel principiante, la mente vola ripensando a quante imprese storiche hanno affrontato coraggiosi guerrieri con una Katana in mano, magari con una Katana molto simile alla nostra, e noi ci sentiamo subito più importanti e legati a questa antica tradizione. La pratica con la Katana trasmette fin dall’inizio profonde sensazioni: quando pratichiamo un’arte marziale qualsiasi, la nostra attenzione è tutta sul nostro avversario, siamo consapevoli che potrebbe attaccarci con pugni o calci, che potrebbe tentare di afferrarci e così via, ma niente ci rende nudi ed indifesi come l’avere davanti un avversario armato di Katana; ci rendiamo conto che ogni più piccolo errore potrebbe costarci caro, ogni movimento non ben calibrato rischia di portarci alla sconfitta più disastrosa, cosa che nello studio del Karate tendiamo a volte a sottovalutare. Anche per questo la pratica con la spada non può che essere d’aiuto a qualsiasi praticante che voglia approfondire il suo studio marziale, l’uso della spada porta al di là di una semplice competizione più o meno violenta, porta a riflettere appunto sul vero senso delle arti marziali. Lo Iaido richiede una perfetta lucidità e una totale assenza di tensioni muscolari, calma, distacco e saldezza interiore, tutte qualità che non si guadagnano semplicemente stando attenti, ma con la pratica continua vera e propria.
Per tutti i praticanti è giusto capire fin da subito che attraverso lo Iai non impariamo ad attaccare: anche i Kata di Iaido (come quelli di Karate) sono stati pensati per rispondere agli attacchi di un avversario e (tranne in rarissimi casi) mai per attaccare per primi. Questo anche perché l’allenamento fisico dello Iaido ad un certo punto deve lasciare il posto all’allenamento mentale, se vogliamo avere la possibilità di uscire vincitori dobbiamo creare il nostro vuoto interiore, la mente ed il corpo saranno così liberi di agire senza vincoli o repressioni e si scatenerà l’energia necessaria per uscire vincitori. Niente tensione, solo pace interiore.
Una volta che iniziamo l’allenamento con la spada dobbiamo considerare una cosa molto importante: la Katana non è un accessorio, ma un’arma in tutto e per tutto studiata per togliere la vita; dobbiamo essere puri di cuore per tenerlo sempre presente.
La Katana, come alcune tecniche letali di Karate, è la massima espressione dell’eterno conflitto che l’uomo ha con se stesso.
Dobbiamo temere e rispettare allo stesso tempo queste sensazioni, facendo tesoro di ogni singola tecnica e di ogni piccolo particolare: nell’antichità una ripetizione in più o un piccolo particolare lasciato indietro potevano fare la differenza fra la vita e la morte.
Quando si effettuano i tagli sulla fascìna o sul bambù, stiamo simulando il taglio di un arto e quindi un’uccisione; per questo è necessario un rito per far sì che nessuna negatività rimanga addosso al praticante dopo aver simulato questa pratica, e anche per fare in modo che il luogo stesso non rimanga contaminato da spiacevoli sensazioni di negatività. Oggi per questioni di sicurezza noi pratichiamo la maggior parte delle tecniche contro un avversario ‘immaginario’, per molti potrebbe sembrare una limitazione, ma pensate all’incredibile vantaggio di questa pratica: un avversario in carne ed ossa potrebbe comunque mostrare dei limiti; il nostro avversario immaginario invece lo possiamo identificare come vogliamo noi, lo possiamo rendere veloce, inafferrabile, alto o basso, imbattibile, o che ci lasci qualche possibilità….non ci sono limiti!
Potremmo immaginarci di lottare ogni volta con un avversario che non ci lascia scampo, e poi riportare queste sensazioni e tutta la preparazione acquisita nell’esercizio a coppie con un compagno, esercizio che, a seconda dell’esperienza, diventerà sempre più complicato e fedele alla realtà.
Solo se avremo combattuto il nostro “io” su tutti i fronti saremo pronti ad affrontare qualsiasi cosa, e qualsiasi situazione.
Per concludere voglio riprendere il concetto che ho menzionato sopra, ovvero vincere senza sfoderare. Applicando questo principio al Karate può essere inteso come vincere senza combattere, e voglio spiegarlo riportando un esempio molto chiaro per far capire a tutti di cosa stiamo parlando.
Immaginate di entrare in un giardino a voi sconosciuto, e di trovarvi improvvisamente davanti ad un cane: il primo istinto vi consiglierà di fermarvi e valutare se il cane è aggressivo o no; immaginate che il cane non si muova, ma che vi tenga sotto controllo con
molta attenzione: solo in quel momento capirete che cercare di entrare nel suo territorio scatenerebbe una reazione pericolosa e sicuramente deciderete di tornare sui vostri passi, non per il suo ringhio, non per il suo morso, ma per la sua attenzione e la sua attitudine che vi hanno convinti a cambiare strada…applicando il concetto di vincere senza “sfoderare” e di vincere senza combattere.